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al testo di Sandro de Fazi
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[Io, quell’io che già ritmai sull’agreste leggero mio flauto versi e, uscendo dai boschi, ridussi i poderi vicini a essere agli ordini degli ancorché insaziati coloni, opera accetta a loro; di Marte, pur ora, tremende] Canto le armi eroiche e l’uomo che primo da Troia esule per un decreto del fato raggiunse l’Italia e le spiagge lavinie, sbattuto per terre e per mare dalle potenze superne e l’ira inflessibile della dura Giunone, assai sopportando, anche in guerra, finché edificò una città, riponendovi il culto esoterico dal quale il genus del Lazio, Alba e, eccelse, le mura di Roma. Musa, ricordami tu i motivi per cui la regina degli dèi tutti si offese nel numen, o di che ella dolendosi sì travolgeva di casi quell’uomo famoso per pietas, così tenendolo in pena. Queste ire nei cuori celesti? Era un’antica città (da coloni la tennero i Tirii) posta di fronte all’Italia, Cartagine, lungi dal Tevere, ricca opulenta fiera nei suoi guerreschi furori. Sola, si dice, fra tutte le terre era cara a Giunone, a Samo stessa da lei preferita: qui pose le armi, quivi il suo carro la diva, del mondo ché fosse lo scettro universale, volendolo i fati; fin d’ora lo auspica.
(Aeneis, I A-1-18)
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